1943-'45: La Roma diventa cooperativa

Il settimanale «Tifone», andando come al solito in ferie ai primi del giugno '43, pubblicò in prima pagina una enorme vignetta del bravissimo Cesare Gobbo. Lo abbiamo sotto gli occhi. Vi appare un baldo bersagliere che, avendo sotto di sè come in panoramica l'intera penisola sferra, con un piede all'altezza della Sicilia, un gran calcione a un tommy che tenta di sbarcarvi. E intanto nel fumetto urla il fatidico «Va' fuori stranierI». Quindi terminava: «Vi salutiamo con tristezza, cari amici lettori. Se in settembre ci rivedremo vorrà dire che per la nostra patria saranno iniziati i tempi migliori». Ma il «bagnasciuga» che Mussolini aveva invocato in un suo celebre discorso non funzionò. Il «Tifone» prolungò di quasi tre anni le ferie. E la Roma?
Approfittando del blocco dei fitti era rimasta con un incerto velo di organizzazione nello spazioso appartamento di via del Tritone. Di dirigenti manco l'ombra. Il 25 luglio vicende diverse li avevano dispersi. La continuità della A.S. Roma era affidata a due funzionari, ambedue in gambissima: Vincenzo Biancone di cui non occorre ripetere le lodi e il meno popolare De Rinaldis, ottimo organizzatore. A sera, via del Tritone accoglieva qualche socio nostalgico e qualche giocatore in cupa bolletta. La federazione aveva sciolto tutti da impegni e obblighi, compreso per le società quello di pagare gli stipendi. Moratoria anche per i debiti. Biancone era da tempo in rapporti di fiducia con l'on. Pietro Baldassarre, ex-deputato, assiduo frequentatore della tribuna d'onore, socio vitalizio. Segaligno e faceto, brillante parlatore, Baldassarre dette volentieri, come suoI dirsi, una mano. Non soldi, crediamo, ma un apporto di prestigio e di diplomazia nei rapporti con gli organi superstiti della federazione e con le altre società, Lazio ovviamente compresa. Ne scaturirono tornei a raggio ridotto, trasferte amichevoli. E' curioso ricordare che quando con speciali permessi un certo traffico fu permesso sulle strade scassatissime, la Roma viaggiò in pullmann a Napoli, Salerno, Pisa e Livorno. Nella lettera di accordo la squadra di casa si impegnava a rifornire di benzina gli ospiti giallorossi per assicurare loro il ritorno a casa. Ma il rischio era grosso perché gli Alleati, dopo l'esperienza fatta in Sicilia e a Napoli, avevano aggiunto. al carburante distribuito ai reparti una mistura rossosangue. Il privato che viaggiava usandola veniva arrestato, e spesso la sua auto era data senza pietà alle fiamme. Comunque il trio romanista faceva le cose con giudizio e i ragazzi non corsero mai il rischio del rogo. Nel settembre '43 si riuscì ad organizzare un campionato romano. Vi parteciparono in cinque: Roma, Lazio, Tirrenia, Mater e la Juventus di Roma. Giocando a singhiozzo fra lo Stadio, la Rondinella e l'Appio dal dicembre del '43 si arrivò a fine maggio '44. Vinse la Lazio p. 32, con la Roma seconda a un punto. Formazioni di fortuna, Amadei segnò 16 goI. Discreta l'affluenza del pubblico, qualche lira cominciava a sostare brevemente nella cassa gestita da De Rinaldis. Il movimento giocatori, per non scalfire nei limiti del possibile i diritti acquisiti, fu tutto basato su prestiti.
Il 18 novembre 1944 Pietro Baldassarre fu eletto presidente da un'assemblea ovviamente ridotta di soci. Erano presenti anche i giocatori che all'indomani avrebbero giocato la prima partita di un altro campionato, detto «laziale». Vi troviamo le cinque della stagione precedente più due. o tre squadre con nomi inediti, che oggi si direbbero abbinate. Vinse la Roma p. 22, e ovviamente seguì la Lazio. Nelle formazioni i nomi più ripetuti sono: Amadei, Krieziu, Lombardi, Cozzolini, Dagianti, Urilli, Fusco II (fratello di Tonino), Francalancia, Pastori, Andreoli, Matteini, Piccinini, Jacobini e Schiavetti. Ufficialmente l'allenatore era Masetti, irrequieto e non sempre sulla piazza; in sua vece provvedeva Biancone; poi arrivò Degni.
La gestione fu cooperativa. Gli incassi, dedotte le tasse, venivano divisi in parti uguali, con qualche sottomano (vecchio vizio) per gli ammogliati e per i big. Tanto per un'idea, risulta dagli atti che in una stagione i più incassarono L. 17.944 a testa, e notate la precisione del conteggio, c'è tutto De Rinaldis.
Così si attesero tempi migliori, che del resto non tardarono troppo. Intanto il presidente, col discorso alato sempre pronto, teneva su il morale ripetendo ad ogni propizia occasione che, siccome il calcio non poteva morire, neppure la Roma sarebbe morta. Rendiamogli omaggio adesso che se n'è andato: aveva ragione.

Tratto dal libro AS Roma da Testaccio all'Olimpico (libro edito nel 1977)

 

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